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woodstock, le banche e la supercazzola emozionale

Stavolta la questione è di sostanza, non di stile. Di contenuto proprio, non di forma. E si riferisce all’ultimo spot di Fineco. Ma anche a quello di Ing Direct. Guardateveli. Ci vediamo più giù.

Non so voi ma io mi sento velatamente ingannata. Dai, paragonare una banca al gesto di respirare. E tirar dentro Woodstock, poi, veramente un colpo basso per tutti coloro che hanno anche solo portato gli jeans a zampa una volta nella vita. Della serie: ora che la gente non si fida più di noi, come facciamo a vendergli i nostri conti correnti? Ma sì, raccontiamogli che il nostro conto è peace and love, che è rivoluzionario come l’LSD, che la finanza è controcultura. E che loro, proprio loro, possono ‘prendere parte al cambiamento’ scegliendo noi per il loro conto morente corrente.

In fondo i sessantenni di oggi sono i capelloni di allora ed ecco che il vintage va forte pure in pubblicità. E’ tutto un citare di scene che furono. Ragazzini con magliettine a righe, zingarate in spiaggia, telefoni a gettoni, volkswagen westfalia come se piovesse. Tutto impacchettato dentro una luce settantina. Perché così le immagini ci sembrano proprio uscite dagli album di casa nostra. Sfocate, un po’ virate verso il giallo, proprio come quelle che fabbrica Instagram.

Fineco l’ha fatta meno esplicita, ma non più etica. Semplice come respirare. E poi via con un montaggio gigione fino all’ultima fiorettata subliminale, il bell’uomo che emerge dall’acqua, che fa subito balenare nella mente l’equazione Fineco = boccata d’ossigeno. Che di questi tempi, in cui nessuno dorme più tanto tranquillo, significa proprio essere infidi. Significa che me ne sto sul divano, dopo una giornata mortifera in ufficio, dopo aver trovato nella cassetta bollette, tristi cataloghi di Mondo Convenienza e pubblicità dei finanziamenti e mi ritrovo l’immagine di questo che tira sto sospirone di sollievo, con la luce del tramonto che riverbera tutto intorno e che mi fa pure pensare all’estate, che non guasta mai.

Ad essere fatta bene è fatta bene, manco a dirlo. La coppia matura borghese che spegne le candeline (metti al sicuro i risparmi di una vita). Il giovane boxer che suda sul sacco (per te, che sei uno che nella vita combatte). La ragazza che alita sul vetro bagnato di pioggia (con noi sei protetto). Bellissime donne affatto affaticate dalle doglie (facciamo nascere una cosa bella). Il suonatore di sax scalzo (?). E su quest’immagine, signori, mi fermo.

Mi pare troppo, ecco. A me la pubblicità piace, sono una copy e si può dire che io ci campi. Quando è divertimento, trovata, provocazione ma anche semplice e onesta promozione la trovo una forma di comunicazione veramente stimolante, direi ormai imprescindibile. Ma questo è andare oltre. E’ forzare il senso. E’ seminare robaccia nell’inconscio delle persone. E’ fare alla gente una supercazzola emozionale senza scrupoli.
In una parola, per me, è non è buona pubblicità.

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del perché mondo convenienza non è in grado di fare un catalogo decente

Se state leggendo questo post, è capitato anche a voi. Scendete di sotto e nella cassetta della posta c’è il solito cataloghino, formato paraculo, copertina triste, logo arcinoto. Lo prendete e ve lo portate a casa. Poi capita che, nel giro di qualche giorno, provate a sfogliarlo. Io, ogni volta, ci ricasco. Mi dico, saranno cresciuti, avranno imparato. E invece no, non ce la possono fare. Il catalogo è sempre bruttissimo – che vabbè che la loro forza è il prezzo ma un arredatore lo potrebbero pure contattà.

Dopo anni in cui ci hanno deliziato con il bambino con il mestolo e il cappello da cuoco – che vabbè la comunicazione ossessiva coordinata, ma non vuol dire che ce devi propinà sto pupo a ogni pagina del catalogo – adesso sono passati a uno stile più sobrio, minimale, ancora più porello. Ste cucine vuote, dove non si scorgono tracce di vita, ste camere da letto abbandonate, artificiali, sti saloni da depressione. Poi dicono che i matrimoni si sfasciano la sera davanti alla tv. E le camerette per bambini, ne vogliamo parlare? Perchè dovrei far dormire mio figlio in un mondo pastello, rigorosamente bicolore, dove anche il lenzuolino è coordinato con le cornicette e le scatole messe a bella posta sulle mensoline?

E poi il copywriting. Già lo sappiamo che ti chiami mondo convenienza, c’è bisogno che sotto al payoff (che ribadisce lo stesso concetto) ci metti ‘ancora più conveniente’? Abbiamo capito!

Ma il massimo lo raggiungono a pagina 7. Guardo bene e sul bancone di una cucina, chi ti trovo? BÄRBAR, un vassoio ikea.

No, non può essere. Ti pare che mettono un accessorio di un loro competitor nel loro catalogo? Allora lo sapete con chi vi dividete il mercato? Allora ce l’avete fatta una capatina al cubo blu e giallo. E allora, come fate a non notare l’abisso estetico che separa il loro catalogo dal vostro? Non lo vedete il loro come è pulsante, come è vivace, come è vero (a parte le trentacinquenni che cucinano con i tre figli, che però quella è questione di differenze tra welfare svedese e disperazioni occupazionali italiane). Non sapete che loro ne fanno uno all’anno di catalogo (non settantacinque) e la gente se lo tiene a casa e lo risfoglia con piacere proprio perché è bello, mette allegria e stimola la fantasia? Dico, ma non vi scatta un po’ di orgoglio aziendale? Non avete almeno un po’ a cuore il valore supremo della Bellezza? (questo è troppo, lo so)

Mi fate venire voglia di inaugurare una rubrica sulle occasioni di bellezza mancate. Mondo convenienza re indiscusso della categoria. E sotto tanti tanti altri. I ristoranti con le tovaglie damascate salmone, per esempio. O i bar con i tavolini dell’algida. Il mondo ne ha bisogno, non trovate?

Bene, adesso che mi sono alienata per sempre ogni possibilità di lavorare come copy per mondo convenienza senza, tra l’altro, avere ottenuto manco un buono sconto da 5 euro da ikea, vi saluto. Erano mesi che ve lo volevo dire.


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