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se invece che radici, fronde

Qualche sera fa, facendo zapping sulla generalista, intercetto su raitre questo Doc3, che manda in onda un ipnotico documentario dal titolo “Il centro” di Stefano Consiglio: “un’inchiesta sulla società del consumismo condotta attraverso interviste nei templi di questa religione: i grandi centri commerciali”, dice il sito Rai. Nel senso che una piccola troupe gira a Porta di Roma e fa domande alla gente che incontra, oltre che estrarre la bellezza da luoghi dove notoriamente non ce n’è, attraverso inquadrature suggestive, un cast rusticamente efficace e una fotografia a tratti straniante, come è il set stesso.
Dopo pochi minuti in cui mi ripeto la solita frase che mi ripeto ogni volta che m’imbatto qualcosa di interessante (perché cacchio non c’ho pensato io?), decido che la visione merita una tazza di earl grey e due tre quattro biscottini. Giusto per gustarmela meglio.
C’è il guerrigliero libico che si è trasferito con tutta la famiglia e tre pallottole nella pancia qui in Italia, dove ora sta bene. C’è l’italiano che ha sposato la marocchina e per lei si è fatto musulmano. C’è la coppia mista, lei nigeriana lui rumeno-turco, che fa shopping perché lo fanno tutti. Vengono al centro per passare il tempo, perché a casa uno non c’ha niente da fare. Vi piace? È una delle domande che rivolge il giornalista agli intervistati. Siete felici? Credete in Dio? I tre ragazzi testimoni di Geova ne approfittano per spiegare perché si astengono dal voto. Ci sono anche le giovani promoter che vendono carte di credito. E io lo so che sono il male assoluto (le carte di credito, non le promoter) ma per un momento me lo dimentico che queste due spingono le persone a comprare cose con del denaro che non possiedono ancora, alterando la naturale fisiologia tra desiderio e possesso (desidero, lavoro per, ottengo) e mi metto a fare il tifo per loro. Non posso fare a meno di augurarmi che la giornata vada loro bene, che ne vendano tante di queste cartacce, perchè se lo meritano. Poi c’è il divorziato che viene al centro perché è solo, che però è anche un ottantenne e anche un ex funzionario della fiat e anche un sindacalista della CGIL dei tempi d’oro e un sognatore scontento, che il centro commerciale non lo ama ma gli è comodo perché gli risolve dei problemi.
La cosa che mi colpisce è che quasi tutti alla domanda più importante, quella sulle cose belle della vita, convergono sulla famiglia e i figli e nominano in qualche modo i soldi. Chi lo fa dopo qualche secondo di corrucciamento del volto, chi lo fa subito, d’istinto, come i romani veraci che però ci aggiungono pure la lazio, che la sera – lo sanno già – vincerà con la fiorentina.
Famiglia e soldi. Spengo la tv con l’idea che le due cose siano intimamente correlate. Che l’essere umano sia irrimediabilmente portato a ricercare la stabilità, con le persone e con le case e con le cose. Non è certo una novità, mi rendo conto. E tra l’altro, come posso dissentire? Ma non posso fare a meno di chiedermi che cosa sarebbe la nostra vita, la vita di tutti, se invece di ricercare sempre e soltanto l’assestamento ci spingessimo verso la scoperta, le altezze, gli spazi nuovi. Se invece che radici, fronde.

3 pensieri su “se invece che radici, fronde”

  1. Nell’Yi Quan l’albero è una delle posizioni statiche che più si pratica… serve a far crescere la forza (radici) per restare ancorato e non perdere il proprio centro… ma serve anche a far muovere i propri rami (fronde) che rendono armonioso il movimento… non rigido ma elastico… perché nella ricerca dell’equilibrio si possa e si debba esplorare rimanendo saldi e fedeli a se stessi. ;-)

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